Intervista a Paolo Dalla Mora, l’imprenditore “green” che unisce gin, design e moda: tutto bio e made in Italy al 100%

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    PIEMONTE – Paolo Dalla Mora, è un imprenditore nel settore della moda, della ristorazione gourmet e degli spirits che potremmo definire “green” per il suo impegno nella promozione della filiera biologica e della sostenibilità ambientale. Se prendiamo ENGINE, ad esempio, parliamo di un gin 100% italiano e biologico che, in modo del tutto inedito, unisce i metodi tradizionali artigianali e un’immagine sensuale, che trae ispirazione dal mondo dei motori e dai miti in voga negli anni ’80. Nelle produzioni, persino quelle di abiti, Della Mora mette al centro il made in Italy, senza bluff, quello vero, in cui ogni parte del prodotto è italiano e lavorato in italia. Questo eclettico manager, docente IED, noto anche per la direzione marketing di Moschino, figlio d’arte nella ristorazione, punta sull’agricoltura biologica, valorizza le produzioni tradizionali italiane e mette al centro la sostenibilità dei prodotti enogastronomici che è riuscito a far apprezzare nel mondo. Ecco perché oggi abbiamo deciso di incontrarlo.

    Innanzitutto mi dica se devo chiamarla professore, direttore o presidente: lei fa un sacco di cose… Questa passione per l’enogastronomia italiana gliel’hanno trasmessa i suoi genitori?

    (Sorride ndr). «A me piace farmi chiamare Paolo in ufficio, nelle riunioni internazionali e dai miei studenti. Paolo mi si addice di più. Questa passione per l’enogastronomia nasce di sicuro dal fatto che ho imparato prima a cucinare che andare in bicicletta. Sono figlio di ristoratori, con la nonna macellaio e papà e nonno commercianti di cereali. Quindi, sono nato in un ristorante e, come il figlio di un grande pilota di moto diventa campione di moto, io non potevo fare altro che portare avanti quello che avevo imparato fin da piccolo».

    Un gin italiano prodotto in Langa e 100% biologico che viaggia per il mondo. Si tratta di un importante biglietto da visita del made in Italy. Ci spiega meglio in che modo il vostro prodotto valorizza e sostiene l’agricoltura biologica e la cultura enogastronomica italiana?

    «Il prodotto cento per cento made in Italy per me è stato sempre importante. Ho lavorato in tante multinazionali inglesi, italiane e americane. Per me l’importante, per un prodotto made in Italy, è che significhi davvero produrlo in Italia con prodotti italiani. Inutile fregiarsi del marchio ‘made in Italy’ per un prodotto che ha componentistica che in realtà arriva da tutto il mondo. Per il gin e per i capi di abbigliamento abbiamo scelto un prodotto vero 100% italiano. Se parliamo di gin, per essere made in Italy, dev’essere prodotto totalmente in Italia, dalla lattina al tappo, alle botaniche di Engine, che devono essere prodotte nel nostro paese. La salvia, viene prodotta in alta Langa, a 850 metri di altezza, al confine tra il Piemonte e la Liguria; il limone è siciliano; la liquirizia è calabrese; il ginepro toscano; la rosa viene dal Piemonte: è tutto fatto con alcol di cereali biologici piemontesi e acqua delle Alpi. Questo ci permette di dire che il nostro prodotto è realmente italiano. In questo modo, riusciamo a portare avanti la “mediterraneità”, il fatto che siamo un paese che ha meno dell’1% della popolazione mondiale, ma è ricco di biodiversità che siamo riusciti a racchiudere nella lattina del nostro Enigine».

    La salvia e il limone sono grandi protagonisti insieme al gin: anche questi prodotti made in Italy sono totalmente biologici?

    «La salvia e il limone fanno parte di una ricetta che è un antico ‘Cordiale’ piemontese, fatto dalle nonne piemontesi: è il digestivo base del Piemonte. Quindi, si parte da un ‘canarino’, che diventa ad un tratto estremamente piacevole. Per noi era importante la botanica italiana e biologica. Abbiamo un appezzamento di terreno certificato biologico in Sicilia (diversi ettari di terreno incolto in provincia di Catania) dove coltiviamo limoni biologici. Per noi avere le botaniche bio era necessario. Io sono appassionato di figure retoriche nei miei progetti, per cui volevamo avere una contrapposizione, un packaging che riporti al concetto del più grasso e sporco possibile, come è l’olio del motore richiamato dal design della lattina, che si contrappone al liquido sublime e biologico che c’è all’interno della lattina Engine. Dunque, una contrapposizione tra quello che si vede fuori e quello he c’è dentro, che è talmente buono che è biologico. Questo significa rendersi la vita più complessa, ma essere coerenti col progetto del made in Italy bio, senza andare in giro per il mondo a reperire botaniche delle quali si sa ben poco e su cui è difficile indagare se siano stati utilizzati prodotti nocivi per la salute. Mentre noi teniamo sotto controllo costantemente le nostre botaniche italiane».

    Ci sono altre iniziative nel campo dell’agricoltura biologica e del rispetto dell’ambiente che ha messo in campo? 

    «Noi abbiamo stretto delle partnership importanti con i nostri fornitori per quanto concerne tutta la disciplina biologica delle produzioni delle botaniche. La cosa che in questo momento ci sta vedendo molto impegnati e orgogliosi è il fatto di divenire la prima B-Corp certificata nel mondo degli spirits in Italia: questo significa che mettiamo davanti al profitto la sostenibilità. Per noi è più importante la produzione sostenibile. Abbiamo degli standard di lavoro altamente qualitativi che ci pongono costantemente nuovi obiettivi per migliorare sempre e per dare il nostro piccolo contributo di azienda che punta sull’umanità ed è in grado di lasciare un segno nel mondo degli spirits»

    Lei per lanciare prodotti come Engine o Sgrappa ha fatto tesoro delle sue precedenti esperienze nel mondo della moda e della comunicazione, vero? Engine, in particolare, valorizza il design, la creatività italiana e il mondo delle corse (come un olio per il motore della vita). Mentre con la Sgrappa tira dentro il grande artista Maurizio Cattelan. Bere diventa anche contemplazione artistica?

    «In realtà, sono arrivato a un punto della mia vita in cui faccio solo le cose che mi piacciono e mi appassionano. Io sono appassionato di marketing, ho avuto la fortuna di fare il lavoro che mi piaceva e di poterlo costruire con diverse esperienze in diverse aziende. Quello che ho fatto con i miei prodotti, partendo da Engine, è mettere dentro le mie esperienze, le mie passioni di estetica e del mondo dei motori, che fa si che il brand abbia un duplice target: i giovani che apprezzano l’estetica e gli anziani come me, che dicono: “Caspita! La lattina con cui facevo la miscela al due per cento al motorino ‘CIAO'”. Dall’altra parte, nel mondo della grappa abbiamo avuto la fortuna di fare una partnership con un artista visionario come Maurizio, perché siamo entrati in un mercato che aveva bisogno di un forte scossone, uno schiaffo forte. Non voglio dire che aveva bisogno di un vaffanculo, ma con il progetto ‘Sgrappa’ abbiamo svecchiato questo prodotto che oggi vede molti bravi produttori. Però è un mondo che ha bisogno di un vero e proprio movimento, come quello che abbiamo intenzione di creare con Sgrappa, insieme ai grappaioli riuniti, che possono fare un dito medio a tanti altre categorie di spirits. Sgrappa, come Engine, ha dei contenuti interessanti: ci sono dei prodotti incredibili (una grappa di vinacce molto umide di Barolo e Barbera, che conferiscono una straordinaria aromaticità). Abbiamo una distillazione che ci permette di avere un prodotto che non sia solo una grappa da fine pasto».

    Lei primeggia anche nel settore della ristorazione, con l’osteria gourmet a Barbaresco e altro. Anche queste attività possiamo definirle “green”? 

    «Nel mondo della ristorazione ho trovato uno sparring partner, che è Maurilio Garolla, che è il vero cuoco di Langa, piemontese, famoso per “La Ciau del Tornavento”, ristorante stellato Michelin, con il quale abbiamo fatto un progetto con il minimo dello spreco dal punto di vista dell’architettura e della gestione. Per noi era estremamente importante il fatto di essere green trasmettendo il territori: questo significa avere un menu che rispecchi il più possibile quello che ci offre il territorio della Langa e del Piemonte. Quindi, abbiamo un “menu sostenibile” che cambia ad ogni stazione stagione. Da noi essere green significa essere il più possibile a chilometro zero. Da noi non si mangiano prodotti tipici fuori stagione. La nostra è una cucina semplice, genuina e raffinata, con una filosofia green».

     

    Chiudiamo con una domanda che ci riporti alla cucina italiana. La grappa e il Gin possono essere straordinari ingredienti di una cucina raffinata e made in Italy? 

    “La grappa e il gin possono avere un buon futuro nel mondo della cucina anche se non analogo: possono correre su due binari che in mezzo vedono la cucina. Il gin può essere protagonista nell’aperitivo. La grappa penso che possa essere utilizzata a inizio pasto e a fine pasto con una sua dignità. Il nostro gin è stato apprezzato non solo come un prodotto di moda, ma anche come sipping gin, cioè da degustazione. I prodotti che si sorseggiano sono per dopo cena o da meditazione, quindi il nostro, essendo un gin che va bevuto liscio, ha trovato subito spazio nella ristorazione. Siamo entrati nell’alta ristorazione grazie al nostro distributore Velier: questo ci ha dato modo di raggiungere gli obiettivi che avevamo fin dal lancio di Engine».

    È sempre alta la guardia contro gli sprechi e per un uso sostenibile, vero?

    «Lavorando con Carlo Cracco, quando abbiamo presentato  Engine per la prima volta nel 2019, lavorando con Massimo Bottura, col quale portiamo avanti il progetto “Drink for soul”, in realtà puntiamo al riutilizzo degli ingredienti nel bar e a limitare sprechi e rifiuti. In questi giorni lo stiamo facendo al Mixology Experience, grazie a un progetto che punta alla sostenibilità nel ‘mondo bar’”.».

    Gaetano Gorgoni 

    Engine

    Salvia prodotta biologicamente